Cava dè Tirreni, 01 novembre 2019
MI ATTENDONO DUE GIORNI DI MALINCONIA.
E’ sempre stato così. I primi giorni di novembre mi hanno sempre catapultata nell’atmosfera lugubre del regno dei morti, che anche se la chiesa ce lo presenta come un luogo di luce, per me è il buio per sempre, è l’ultima casa, quella che non scegli ma nella quale prima o poi devi abitare per forza. Oggi, festa di Ognissanti, dovrebbe essere la “festa di tutti”, qualcuno pronuncia auguri, per moltissime persone questi primi due giorni di novembre sono diventati occasione di ponte per fare vacanza, per me sono giornate di mestizia. Credo sia per le abitudini che in casa ho vissuto da bambina. Il mio papà all’approssimarsi della Festa dei morti era solito coinvolgere tutta la famiglia a seguire la novena mattutina che si recitava, o forse si recita ancora oggi, nelle chiese. Si usciva di casa che era ancora buio, per le strade passi silenziosi e furtivi si recavano in chiesa per le nenie dedicate. Per noi bambini il bello era l’attesa della “messa è finita”, per correre fuori dove gia sul sagrato ci investiva il profumo di pane e quello dolce delle brioche rivestite di zucchero a granelli. Il rientro era una gioia, ci attendeva la colazione golosa. Poi si accendevano lumini ai morti fotografati esposti in casa, infine si andava tutti al cimitero. Si, anche il giorno di Ognissanti. Anzi, il giorno uno, era occasione per andare a fare visita alla tomba di tutti, ma propio tutti i defunti conosciuti in vita. E per ognuno papà aveva un ricordo in parole, un racconto scherzoso o serioso, a secondo dei casi. E poi, in questi due giorni di novembre, non si accendeva il televisore in casa, non si programmavano film nei cinema, non si organizzavano feste, forse solo i compleanni. Erano giorni dedicati interamnete al ricordo e al rispetto di chi non era più tra noi. Era come un rinnovare il lutto. L’unico indizio di festa era che non si andava a scuola e ci si preoccupava di abbellire il sepolcro dei defunti cari. Il cimitero, che di solito era un luogo silenzioso e buio, esplodeva, come ancora oggi, di luci e di fiori. Mi chiedo se oggi, in mezzo a tante zucche vuote (svuotate per abbellire Halloween), ci si ricorda di tutto questo.
Sono stata di buon mattino al cimitero, e ho avuto occhi pieni di cielo grigio, oggi è nuvoloso, e privi di speranza.
Ma per ognuno che ho visitato o guardato di sfuggita sul sepolcro,
ho avuto un pensiero di ramanzina o di saluto, di un ricordo, di un vizio, di una cena che abbiamo condiviso.
Poi li ho lasciati li, loro non hanno più luoghi in cui andare e poi far ritorno, sono soffi di essenza saliti lassù,
io devo andare al negozio, oggi si è deciso di stare aperti.
Nulla è più come una volta, quando le festività erano segnate dal calendario.
e cattolici o meno che si era, il mondo civile rispettava le regole.
—
Riassumo tutto in questa poesia,
(già pubblicata anni addietro in questo blog)
“Per i miei cari morti”
Spuntavano
in un angolo del comò
la sera prima di Ognissanti
quei volti incorniciati
in bianco e nero
gente che non conoscevo
ben pettinati
come preparati per lo scatto
tutti con lo stesso sfondo
un grigio chiaro-scuro
annuvolato
parevano in posa
già pronti per il cielo.
La mattina dopo
avevano davanti
una parata di lumini accesi
e la mamma faceva per ognuno
il segno della croce
poi ci vestiva bene
e tenendoci per mano
si andava al cimitero
una mattina intera
e il giorno dopo pure
tra loculi illuminati
e lapidi infiorate
gente in ogni viale
pronta al raccoglimento
e alla preghiera
anche davanti a volti sui marmi sconosciuti
“Qui ci sono quelli che sono stati e che non vedi”
mi diceva mamma,
e vanno rispettati
per questo
in quei giorni del ricordo
tante cose erano vietate
niente tv accesa nelle case
niente musica
le sale cinema erano chiuse
come se il dolore delle morti
dovesse essere rinnovato dentro un rito.
Usanza, tradizione, parata
dicevo a mamma
che era meglio rispettarli in vita
e lasciarli al silenzio dell’eternità
ognuno con i suoi meriti e segreti
consegnati per sempre all’aldilà.
Ha cambiato colori
è tutto arancio e nero
quell’antico altare
esibito come tempio nelle case
e ha ceduto il posto
a tutt’altra cosa
è di zucche intagliate
scavate come teschi e abbruttite
illuminate di macabro
terrificanti
usanze nordiche
di tradizioni arcaiche
hanno invaso il mondo
e noi
abbiamo trasformato
i nostri morti in zompi
spiriti che mettono paura
mostri che elemosinano dolcetti
pena un raggiro o una iattura
che si chiamano scherzetti.
Per i miei cari morti
e per quelli cari agli altri
di ogni religione e ogni colore
io uso rallentare un po’ la vita
li cerco quando voglio
e nella giornata dedicata
li raggiungo con un fiore
poggiato sulla tomba al cimitero
o solo nella luce mesta del ricordo
e nel silenzio ovunque li ritrovo
un ballo una cena o una risata
una gita fuori porta o in una passeggiata
e in ogni speranza che abbiamo sperato.
Sono per me
scomparsi e vivi all’infinito.
Teresa d.
Per tutti loro un fiore dedicato.
—
Teresa d. – Una parte di me è spesso con i miei defunti cari, mi illudo di portarli nei luoghi dove non sono potuti andare…